«Bisogna sventrare Napoli!» Così Agostino Depretis, presidente del Consiglio, reagì alla vista dei quartieri fatiscenti della città, malsani, sovraffollati e decimati dal colera quando nel settembre 1884 vi si recò insieme al re Umberto.
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L'espressione, con la sua immagine di cruda macelleria, suggerì alla ventottenne Matilde Serao una serie di articoli usciti sul giornale romano «Capitan Fracassa» e immediatamente raccolti in volume col titolo Il ventre di Napoli. Un libro che Giuseppe Montesano ha definito «"politico" fino all'osso, come una sommossa o un proclama». In queste pagine infatti la celebre giornalista esce dagli stereotipi del pittoresco e da modi linguistici abusati per trattare - con un vigore e una prospettiva di impegno civile che va ben oltre l'orizzonte locale - l'orrore che era sotto gli occhi di tutti ma che nessuno affrontava davvero: la miseria del popolo dei quartieri bassi, i bambini soli o abbandonati, la lotta delle donne per l'esistenza, la serpeggiante deprivazione morale, le angustie della piccola borghesia, l'arrivismo dell'élite cittadina, l'ambiguo mito della modernità che spiana la strada a un affarismo feroce e alla speculazione più avida. "Il ventre di Napoli", qui proposto secondo l'edizione del 1906, è affiancato da una scelta di prose che offrono una visione ampia e variegata della peculiare scrittura di Matilde Serao: che narri la disastrosa eruzione del Vesuvio del 1906 o il Risanamento urbanistico, o ancora rievochi i suoi anni di scuola o si interroghi su quello che le fanciulle non dicono, la scrittrice unisce una non comune capacità di osservazione alla disposizione empatica verso il mondo, con una personale e nitida cifra realista che anticipa il moderno reportage.
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