Pasolini è stato il compagno fraterno, severo e fragilissimo, di più di una generazione, interprete lucido dei mali della società italiana e incarnazione estrema di un esistenzialismo "moderno" che proviene però dal nostro passato più antico.
Grande saggista e critico letterario della seconda metà del secolo, ma quasi per obbligo (aspirava infatti ad essere poeta).
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Il suo "sguardo" poetico, presente in ogni sua pagina, è capace di cogliere - per intuizione - quella Realtà che invece sfugge a politici, giornalisti, burocrati, professori. E anzi, insieme a pochi altri come Carlo Levi e Elsa Morante ci ha mostrato la differenza irriducibile tra reale e irreale, tra presente concreto e futuro astratto, tra la vita tutta intera, inseparabile dalla morte, e l'ossessione "borghese" di possederla.
Pasolini non può amare il mondo poiché se ne sente escluso, ma ne ha una struggente nostalgia. La sua opera sta sempre al posto di qualcos'altro: non scrive tanto poesie quanto saggi sulla poesia, non film ma saggi sul cinema, non romanzi, ma saggi sul romanzo. E così la sua esistenza, nella quale è condannato sempre a giustificarsi, sembra stare al posto di un'altra esistenza, in cui invece è accettato "naturalmente" dagli altri e dalla società. Una passione intellettuale, la sua, che potrebbe ispirare qualsiasi nostra libera riflessione sul mondo in cui abitiamo, e che appare sempre coinvolta dalla realtà stessa che intende conoscere o interpretare.
Filippo La Porta (Roma, 1952), saggista e critico letterario, scrive su "L'Unità", "Musica!" di "la Repubblica", "il manifesto" e altre testate. È autore di La nuova narrativa italiana. Travestimenti e stili di fine secolo (1995 e nuova edizione 1999); Non c'è problema. Divagazioni morali su modi di dire e frasi fatte (1997); Manuale di scrittura creativa (1999); Narratori di un sud disperso. Cantastorie in un mondo senza storie (2000). Ha inoltre curato Racconti italiani d'oggi (1997) e, insieme ad Alessandro Carrera, Il dovere della felicità (2000).