"Daniel è stato l'ultimo prigioniero a lasciare vivo il famigerato carcere di Raqqa." Daniel Rye ha venticinque anni ed è un fotografo freelance: dalla sua Danimarca viaggia nelle zone più pericolose del pianeta per documentare gli orrori di guerre e povertà.
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Quando nel 2013 la situazione della Siria, straziata dai conflitti e terrorizzata dallo Stato Islamico, peggiora, Daniel decide di partire, prendendo ogni precauzione grazie all'aiuto di una rete di persone pronte all'emergenza. Ma durante il viaggio, poco prima di concludere il reportage fotografico, viene rapito da un manipolo di jihadisti. Segregato per 398 giorni nelle prigioni siriane insieme con altri stranieri, viene sottoposto a torture di ogni sorta perché confessi i suoi (inesistenti) reati. In condizioni disumane, in bilico tra il dolore insopportabile e la paura di morire, la sua unica consolazione è la compagnia di altri prigionieri come James Foley, l'ostaggio americano poi decapitato che, prima di morire, gli affida l'estremo messaggio per la sua famiglia. Il racconto della giornalista pluripremiata Puk Damsgård segue la storia di Daniel, della sua prigionia, ma anche della sua famiglia e delle trattative per la sua liberazione, tracciando sullo sfondo un ritratto dello Stato Islamico. Pagine che lasciano il lettore senza fiato, una testimonianza scioccante che trasmette l'angoscia per una crudeltà senza cedimenti.