La nostra è l'epoca della fretta, un "tempo senza tempo" in cui tutto corre senza fermarsi mai, impedendoci non soltanto di vivere pienamente gli istanti presenti, ma anche di riflettere serenamente su quanto accade intorno a noi.
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Di qui il paradosso di una filosofia della fretta proprio di un mondo in cui tutto scorre così rapidamente da non poter essere cristallizzato in concetti: l'endiadi di essere e tempo a cui Martin Heidegger aveva consacrato, a partire dal titolo, il suo capolavoro del '27 sembra oggi riconfigurarsi, per ironia della sorte, nell'inquietante forma di un perenne essere senza tempo. Il fenomeno della fretta nacque da quell'accelerazione della storia inaugurata empiricamente dalla Rivoluzione industriale e da quella francese e promossa filosoficamente dal pensiero illuministico e dalla sua passione per il futuro. La nostra epoca "postmoderna", che pure ha smesso di credere nel futuro, non ha per questo cessato di affrettarsi, dando vita a una versione del tutto autoreferenziale della fretta: una versione nichilistica, perché svuotata dai progetti e dalle promesse di emancipazione universale e di colonizzazione dell'avvenire di cui l'avevano gravata i moderni, e condensata nel motto dell'uomo contemporaneo: mi affretto, dunque sono.