La nuova raccolta di Bevilacqua stravolge la sostanza della poesia lìrica. Non una poesia dell'io, dunque, ma una poesia di proiezioni, di personaggi rivissuti dall'interno in un'esperienza quasi sensitiva.
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C'è in questi versi un farsi corpo del corpo altrui, una sorta di comunione con l'altro, se non di vera e propria possessione, in cui uomini e donne comuni, poveri folli, maestri di letteratura, grandi artisti del passato parlano e vivono accesi di volta in volta nella sequenza delle immedesimazioni. Una sequenza che porta a un allargamento sempre più esteso dei confini dell'io, che tocca persone, ma anche luoghi, situazioni storiche, figure e meccanismi del pensiero. Fondamentale, in questa metamorfosi cosmica, il viatico del paradosso, del ribaltamento, dell'ironia: una chiave che permette di uscire dai limiti della soggettività, dei sentimenti e del destino. Anche per questa via il libro parla con intensa partecipazione di difficili equilibri esistenziali e propositi di addio, ma è soprattutto un esorcismo o un segno di rinascita.